Arpa

“Ma... maestro, non le pare fuori luogo l’avermi convocata?”.

“E perché mai?”. “Beh,sa... l’arpa, in mezzo a questi

altri strumenti, non mi pare che ci faccia una gran bella

figura: richiama i tempi antichi”. “Li recupera, vorrai dire.

Ed è proprio per questo che ti ho convocata: tu sei la

garanzia della continuità, del non rifiuto di ciò che è stato,

della ripresa di ciò che è del passato, perché il futuro del

concerto sia più autentico e non slegato dalla storia”. “Su

questo sono d’accordo con lei. Ma il mio suono, la mia

parte, come si inseriscono nell’armonia del concerto?”. “Il

tuo stile inserirà nel concerto, mia cara, quel fascino e quel

desiderio di essere ascoltato che tu certo puoi dare con

quelle note dolci e sensuali”.

“Ma... non penserà di mettere della sensualità nel concerto?!”.

“E perché no? Dove suoni tu? Non lo sai che è

un terreno sul quale tutti si mettono in ascolto, quello?

Dalla sensualità poi tu li eleverai a un gradino più su, fino

a raggiungere i confini dell’amore: l’affascinante, il bello,

l’irresistibile, il desiderato... verso l’amore”. “Devo prestarmi

a fare la bella dama di turno, vuol alludere a questo

lei, maestro?”. “La devi fare solo perché quella è la tua

identità nel concerto. Non ti chiedo di darti, ma di trasmettere,

attraverso il fascino della tua esecuzione, un fascino

più grande. E questo non è qualcosa in più per te, ma è la

tua stessa identità... E come si potrebbe resistere al tuo

fascino?”. “Ma lei, maestro, non sta dando un po’ troppa

importanza alla sensualità?”. “Non mi pare: la sto solo

orientando verso l’amore. O pensi che le note della musica

non c’entrino per niente con le emozioni e le sensazioni

di chi è in ascolto? Non pensi proprio al fatto che l’emotività

si gioca sulle note dei nostri strumenti, e di te in particolare?

E pensi proprio che questo non sia un dono per

te?”. “Ma lei, maestro, l’arpa la vuol far suonare per chi

ascolta o per chi esegue?”.

“Per entrambi, mia cara; e prima ancora, per te stessa.

Tu suonando riscoprirai ancor più profondamente la tua

identità e allo stesso tempo il tuo suono rivestirà tutto il

concerto, ingraziosendolo e rendendolo affascinante e

bello. E in chi ascolta nascerà il desiderio di cercare, attraverso

di te, la bellezza della musica. Ti pare poca cosa? Le

tue note poi sono le più vicine al mistero, a quel mistero

che il concerto si prepara a vivere. Le tue note, ondeggianti,

che paiono bolle di sapone, che ti passano davanti e

poi... pluff... ti lasciano questo senso del mistero”. “Come

siamo poetici, maestro!”.

“Ecco, vedi? È la tua presenza che mi rende perfino

poetico, che mi trasforma e mi avvicina al mistero ancora

di più... Ecco, così devi fare durante il concerto”. “Credo

di avere capito ciò che lei vuole da me, maestro: il fascino.

Al suo concerto mancava solo un segno di fascino, uno

strumento di bellezza, per poter rendere meglio ciò a cui si

deve tendere”. “Proprio così. E non per niente tu, fin dall’antichità,

sei sempre stata lo strumento più ammirato e

benvoluto; non per niente gli uomini hanno sognato con

l’ausilio delle tue note; non senza motivo essi hanno ballato

e cantato dietro il tuo caloroso invito. Non vorrai ora

rinnegare tutto questo?”.

“No di certo, maestro. Anzi, per me è un onore a questo

punto l’essere stata convocata. Solo che, in un primo

momento, pensavo ci fosse sotto qualche altro motivo, o

che fossi stata interpellata per la sua bella figura, o soltanto

per attirare la gente. Ma ora che mi è chiaro il suo intento,

maestro, sono lusingata di suonare nel suo concerto... e

lo farò molto volentieri e con passione”.

“Ah... ecco! Sospettavi che la mia proposta non fosse

trasparente come ti dicevano le mie parole; pensavi a un

imbroglio, a uno dei tanti. Eh, già: con i tempi che corrono,

oggi, ti capisco: spesso si usa lo strumento della musica

per i propri fini e solo per questi interessi, e non si va

al di là di essi!. Certo che ora nessuno ti può dire, al di

fuori di me, che qui non è proprio così...”. “Ma ora, maestro,

non c’è più bisogno che me ne convinca: ora mi

fido”. “Ecco, appunto! Volevo giungere proprio a questo:

o tu ti fidi di me, o non ci sono altri modi per accertarsi

che qui il concerto non ha secondi fini”.

“Mi fido, maestro, ora sì... e sa perché?”. “Perché?”.

“Perché ho visto che lei si è lasciato ingentilire dalle mie

note, prima, mentre suonavo. Questa è la prova che lei è

un tipo sincero e trasparente. Per me quella era la prova

della quale avevo bisogno per potermi poi fidare”. “Ah,

ecco... ti sei fidata,... ma sul sicuro!”. “Beh,maestro...

diciamo che non ci si fida così, a vuoto, senza motivo

alcuno, ma con una certa base di sicurezza. D’altronde,

non bisogna andare totalmente allo sbaraglio: anche la

fiducia parte da qualcosa di serio e di provato, pur rimanendo

sempre e soprattutto un rischio”.

“Allora, cara arpa, tu ci farai sognare...”. “Volentieri. E

lei per primo, maestro, si disponga a questi sogni; io, con

le mie note, glieli condurrò in alto,in alto, sempre più in

alto, finchè... pluff!”. “Come ‘pluff’?”. “Ma certo...non se ne

ricorda più, maestro? Come le bolle di sapone!...’Pluff’!”.

“...Cioè?...”. “Cioè svaniranno all’improvviso, richiamando

alla realtà del concerto, alla vita. I sogni certo che sono

belli, e io mi sento veramente contenta nel condurli per

l’aria, in alto; ma guai, se rimanessero lì!. Anche lei, maestro,

potrebbe finire per diventare un illuso, uno fuori dalla

realtà, e così i miei sogni risulterebbero essere l’intrigo di

una maga che l’ha illusa e le ha fatto perdere il senso della

realtà”. “...Co ...come?!...”.

“E non mi guardi adesso in quel modo così imbambolato

e meravigliato; non penserà che essere solo un sognatore

sia cosa positiva e bella? Sognare, sì... ma il sogno

deve poi rientrare nella realtà: deve immergersi, con la

fantasia, con il suo fascino, con la sua bellezza, con i suoi

colori, nella realtà di ogni giorno, ritornare lì. Altrimenti,

non sarebbe altro che una droga, un’illusione; e lei, sarebbe

un drogato e un povero illuso... non le pare?”.

“Ti ringrazio, arpa, per avermi fatto evitare questo pericolo.

Ci sarei certamente caduto dentro come un allocco...

grazie!”. “Grazie a lei, maestro, che mi ha convocata e mi

ha dato la possibilità di farle capire come evitare questo

pericolo”. “Ma... senti un po’: allora, non è vero che tu sei

lo strumento dei soli sogni, della irrealtà: tu la realtà la

conosci bene! E con le tue note, chi le ha seguite, ha sì

sognato, ma con quei sogni che rientrano nella realtà e la

trasformano, la ingraziosiscono e la rendono più affascinante.

Tutti coloro che, fin dai tempi più antichi, ti hanno

ascoltata, non sono stati, come io prima pensavo, dei

sognatori e delle persone fuori dalla realtà... Con il tuo

aiuto invece sono stati protagonisti fino in fondo di essa”.

“Eh, già! La musica dell’arpa come credevi che fosse?

Come la droga?. Guardati un attimo indietro, e troverai

vicino all’arpa le persone più sagge e più umane, non lontane,

ma dentro la realtà. Con il mio aiuto non solo gli

uomini hanno potuto vivere fino in fondo la realtà, ma

l’hanno anche trasformata in meglio: se la realtà era dura,

con le mie note essi la rendevano meno dura... e là dove

non era possibile trasformarla, la si accettava e le si dava

un senso, attraverso il canto: ecco la forza della musica,

ecco la realtà che è profondamente unita ad essa. E anche

tu, insieme con tutti questi strumenti che stai dirigendo,

preparandoti a questo concerto, sogna pure, ma con queste

note, che ti richiameranno sempre alla realtà, a essere uno

che trasforma il mondo, con il mio aiuto”.

“Non so più cosa dire...”. “Allora, ascoltami attentamente:

finora le direttive le hai date soprattutto tu, e le hai

date bene. Ma ora, ti è stato affidato uno strumento molto

antico, che dopo tanta fatica e con tanta esperienza, sa

bene come produrre la grazia, la bellezza, il fascino. Come

farai ad essere tu ora a guidarmi, tu che di queste cose non

ne sai quasi nulla?. Dimmi: quanti anni hai, maestro?”.

“Trentadue”. “Io, tremilacentoventicinque. Beh, ora,

dimmi, con tutta franchezza: te la senti ancora di dirigere

quest’arpa e tutto il concerto?”.

“Beh...non so...anzi, no: penso proprio di no!”. “Allora,

che facciamo? Vuoi, maestro, che io mi ritiri?”. “No, no,

non tu: l’arpa ci vuole, eccome! Sono io, io che non so più

cosa fare. Sono talmente sconcertato e sorpreso, e mi sento

inadatto non solo per te, ma anche per il concerto!”.

“Bene, bene... ecco che l’arpa ha suonato bene!”. “Ma...

che dici, ora?”. “Sì, caro maestro! Dico che ti mancava

ancora una cosa per essere pronto a guidare tutto il concerto:

la non sicurezza e la tua disponibilità a lasciare lì tutto.

E ci voleva quest’arpa antica per farti capire ancora,

prima che ti potessi illudere e tu potessi sognare di essere

il vero maestro, che il vero maestro non sei tu, ma ciò che

c’è di più antico e prima di ogni arpa: la musica: ecco il

vero maestro!. E proprio ora che ti senti inadatto e imperfetto,

proprio ora puoi essere anche tu uno strumento della

musica. Tu sei per tutti noi, te compreso, l’occasione per

entrare nel mistero della musica, dove nessuno sa ancora

come sarà o che cosa si proverà, finchè non ci sarà il concerto.

Ora che sei stato saggiato anche tu come maestro,

può iniziare il vero e proprio concerto... A lei, maestro!”.

“Mm... Mmm!” fece il maestro, sgranchendosi la gola,

tutto imbarazzato, ma anche contento che fosse finalmente

giunto il momento dell’esecuzione.

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