Piatti
“Et-ci! Et-ci! Et-ci! Mi pare quasi di starnutire! E tutte
queste prove a ripetere: et-ci!”. “Salute!”. “Eh, maestro,
lei ci scherza sopra ma, vede, per me è questione del senso
della mia esecuzione... Ma cos’è che ci ho trovato di tanto
attraente in questo suono per dedicarmi con tutta la mia
mente, le mie forze, con tutta la mia vita a questo: et-ci!”.
“Penso che anzitutto ti abbia attratto il fatto di essere la
metà di un altro”. “Eh?”.
“Già, sei tu l’unico, tra gli strumenti che suoneranno
nel concerto, a produrre un unico suono unendoti all’altra
tua metà, all’altro piatto. Per te prima c’è l’armonia con
tutti gli altri: ecco la caratteristica originale che ti ha fatto
scegliere di suonare come piatto e non invece come uno
degli altri strumenti”. “A questo non ci avevo proprio mai
pensato, neppure lontanamente”.
“Queste prove con il maestro sono essenziali per recuperare
questi aspetti che da sempre hai dato per scontati, e
proprio per questo hai finito per dimenticare, mentre essi
costituiscono la caratteristica fondamentale del tuo essere
strumento nel concerto”. “Ma... d’accordo, devo essere in
armonia con la mia metà per produrre un unico suono...
Ma lei si rende conto, maestro, lei che non ha provato cosa
significa essere nella vita con una metà di sé, con la quale
riuscire a mettersi in sintonia, cosa significa eseguire sempre
lo stesso suono, sempre quello stesso, identico et-ci
per ogni esecuzione, per ogni prova, per ogni volta? A un
certo punto uno...”. “Vacci piano anzitutto con l’affermare
che il maestro non ha provato quello che tu stai sperimentando
ora: io, prima di essere maestro di questo concerto,
ho fatto per anni il suonatore nella banda del paese,
prima con i piatti, poi con la tromba... e solo da poco sono
qui come maestro; non sono nato un maestro, cosa credi?
E so cosa significa suonare i piatti: c’è il pericolo di stancarsi
nel sentirsi eseguire sotto il naso sempre lo stesso
suono et-ci. Però, e questo te lo vorrei sottolineare partendo
proprio dalla mia esperienza di suonatore di piatti nella
banda del paese, c’è anche un altro aspetto che forse
dimentichiamo spesso: l’et-ci è sempre lo stesso, ma le
melodie cambiano continuamente, e proprio questo ti dà la
possibilità di essere nuovo pur con la stessa nota che viene
sempre ripetuta: ti accorgi che sei chiamato a rivivere te
stesso e l’armonia con la tua metà ora in una melodia
lenta, ora in un’altra veloce, ora in una facile da eseguire,
ora in un’altra dove l’esecuzione richiede più difficoltà. E
ciò ti fa evitare il pericolo della monotonia e ti fa essere te
stesso, nelle pur diverse situazioni musicali che ti si presentano.
Quindi io, se fossi in te, non sarei affatto così scoraggiato
di fronte a questa situazione”.
“Sa, maestro... a volte penso di essere rimasto proprio
solo”. “Ma come puoi dire questo tu, proprio tu che nel
concerto suoni per forza di cose con gli altri? Tu che proprio
per la tua stessa identità non puoi essere da solo? Apri
gli occhi e guardati attorno, apri i tuoi occhi!”. “Li apro,
io...”. “Sì, ma apri gli occhi e ascolta: solo così ti renderai
conto del tuo essere insieme con gli altri. E tieni presente
anche che tu sei chiamato a suonare nei momenti festosi,
solenni, dove tutti, tutti dico, suonano con te. Come puoi
illuderti di suonare da solo?”. “Già, forse è proprio un’illusione
la mia, un pregiudizio che mi sono fatto in questi
ultimi tempi”.
“Eh, ritengo proprio che sia così. Adesso devi recuperare
te stesso, durante questi giorni di prove con me. Se hai
bisogno, chiedi, prendimi in disparte e sfogati, domandami
tutto ciò che non ritieni chiaro ed assodato... Pretendi,
usami... Ma non perdere questa occasione di approfittare
per essere meglio te stesso; per non arrivare al momento
del concerto ancora con questi dubbi e con questi tentennamenti
circa la tua identità. Chiaro?”.
“Sì, maestro. Le vostre parole di fiducia e di incoraggiamento,
lo sento, mi stanno facendo già ora molto bene
e mi fanno sentire in grado di poter suonare, mi fanno
capire che posso suonare meglio”. “Ed essere soprattutto
migliore. Se ci fai caso, durante queste prove dell’esecuzione,
tu sei chiamato ad intervenire con il tuo suono proprio
quando le note non sembrano più bastare, quando la
melodia non riesce più ad andare oltre, dove vorrebbe;
quando cioè il concerto trova dei limiti, quando le note
arrivano troppo in alto per poter andare ancora più su;
oppure, quando tutti gli altri strumenti stanno suonando
con tanta efficacia, da non riuscire più a mettere nell’esecuzione
più efficacia di così. E lì, proprio lì, in quei
momenti, tu intervieni, e con il tuo ‘et-ci’ o aiuti le note a
saltare al di là dei limiti, o permetti al concerto di acquisire
maggiore efficacia, prima che la melodia ritorni ancora
più pacata e lenta. Tu sei colui che interviene proprio nei
momenti di maggiore intensità, dove nessuno degli altri
strumenti potrebbe intervenire e farsi sentire quando tutto
suona. E questa è la tua originalità, non la devi ignorare”.
“Il mio problema, maestro, non è che ignoro questa
identità, ma è che spesso ho quasi paura di assumerla. Non
mi sento abbastanza forte per farlo”. “Proprio perché sei
nell’illusione di essere da solo; e così, non consideri prima
di tutto l’altra tua metà, con la quale tu devi essere tutt’uno,
in sintonia. Il tuo problema è che hai paura perché
non hai ancora accettato fino in fondo l’essere te stesso
con la tua metà. Pensi ancora di dover essere te stesso
stando da solo. Ma da solo non riuscirai mai ad essere un
buon strumento, perché tu sei ‘i piatti’, e non un altro strumento.
Quando avrai accettato questa tua metà, cioè quando
l’avrai in sintonia con te stesso, al punto di renderla tutt’uno,
con lo stesso suono, allora la paura scomparirà.
Eseguendo poi con gli altri strumenti, questa paura non
soltanto non ci sarà più, ma essa farà spazio alla gioia di
essere nel concerto, del suonare insieme”. “Lei, maestro,
prima mi stava accennando al fatto che il mio suono, cioè
il ‘nostro’ suono, aiuta gli altri strumenti a fare un salto al
di là. Penso di non aver afferrato chiaramente questa sua
affermazione...”.
“Le note, carissimo, sono limitate, non infinite. Solo la
musica è infinita, le note no. Ora tu, ‘voi’, siete coloro che
additano questo salto di qualità da fare: dalla finitezza
delle note mentre si esegue, all’infinità della musica di
quanto si è eseguito. Mentre noi eseguiamo, con tutti gli
strumenti, sentiamo che l’esecuzione è una realtà bellissima,
ma che trova sempre un limite: là, nelle note alte,
dove al di là non si può andare; e tu ce lo richiami quando
suoni ’et-ci’, cioè ‘attenzione’: non c’è più nessuna nota;
...e allora? Quando tu hai suonato, tutti sanno che al di là
c’è la musica con il suo mistero; tu sei la porta, in questo
caso. Questo tu lo dici anche quando, te lo stavo spiegando
prima, tutto il concerto è nel pieno dell’esecuzione, con
tutti gli strumenti in funzione... e tu intervieni con il tuo
‘et-ci’, mettendo il pieno dell’efficacia nel concerto, e
quindi indichi lo stadio finale di questa efficacia: al di là
non c’è altra efficacia, c’è solo la musica. È grazie a te che
dopo ogni esecuzione, dopo che tutto si è calmato e ognuno
torna a casa, può portare con sé il senso della musica.
È proprio questo che rimane quando tutto è stato dimenticato,
anche le ultime note: resta il senso della musica, il
suo mistero. E se tu non lo accennassi nell’esecuzione,
sarebbe certamente difficile per tutti, anche per te, orientarsi
verso quella grandezza alla quale la musica ci invita
tutti quanti. Mi hai compreso?”. “Ora penso proprio di
aver capito, maestro. Resta solo un problema”.
“E quale?”. “Quello di spiegare tutto ciò che ora ho
capito alla mia metà”. “Problema risolto, allora. È più
facile di quanto pensi. Per spiegarti con la tua metà non
devi far altro che suonare; ciò ti metterà in sintonia con la
tua metà e con tutti gli altri strumenti. Devi quindi spiegarglielo,
come hai fatto fino ad ora. La musica si comprende
gustandola, non spiegandola; tu e la tua metà, voi due,
siete fatti per la musica, non per le note, non per l’esecuzione,
nemmeno per il concerto in se stesso. E se tu sei
nella disposizione di suonare così, anche la tua metà suonerà
così; è questione di contagio, un contagio positivo e
benefico. Se tu però non sei in questa disposizione nel
suonare, ogni spiegazione e accorgimento da parte tua o
che io stesso ti posso dare, non ti serviranno proprio a
nulla; anzi, saranno sempre più una noia e una seccatura”.
“Maestro, ma lei mi sta facendo capire cose totalmente
nuove...”. “Non è vero; non sono affatto cose nuove.
Appaiono essere così per te; ma lo sai il perché? Non sono
altro che le cose antiche, ritenute vecchie, assodate e quindi,
a un certo punto, dimenticate da te. Ed è proprio per questo
che ti sentivi solo. Ti mancava la sorgente iniziale, la base,
il fondamento, tutto ciò su cui poter eseguire. Ed ecco che
ora ti sembrano cose nuove; ma non stai facendo altro che
recuperare, attraverso il mio aiuto, quelle cose fondamentali:
rispolverarle, ritrovare il senso e il valore di esse...
altro che cose nuove! Si trattava proprio di ritornare alla
sorgente del tuo suonare, al senso, ai motivi che ti hanno
portato all’esecuzione. E mentre torni alle sorgenti e
all’inizio di tutto te stesso, ti pare di rinascere, di ringiovanire,
di recuperare,... Pensa all’assurdità: ringiovanire tornando
al passato, mentre stavi prima invecchiando andando
al futuro”.
“Mi rendo conto ora, maestro, che queste prove fatte,
senza questo profondo significato, mi stavano a poco a
poco rovinando, e che avrebbero finito per rovinare, prima
o poi, anche tutti gli altri strumenti, tutto il concerto. Ma
sa, la fretta, il bisogno di aver fatto tutto entro la tal data,
la smania di una perfetta esecuzione, tutte queste cose
sembravano diventare le più importanti”. “Già... e più
importanti della stessa musica! Avresti così eseguito un
concerto con una perfetta esecuzione, ma senza musica”.
“Avremmo anche rovinato la musica andando avanti così,
maestro?”. “No, questo no. La musica è un valore massimo,
è infinita; non l’avreste sicuramente rovinata. Ma il
guaio è che non l’avreste gustata voi, non avreste potuto
sentirla dentro di voi: voi vi sareste rovinati con la vostra
stessa esecuzione”. “...E ora?”. “Torniamo alle prove.
Vedrai come tutto ora sarà diverso, per te e per tutti; e il
giorno del concerto proveremo il senso della musica,
entreremo nel suo vivo, nella sua vita”. “Me lo auguro,
maestro!”. “Il tuo augurio sia il tuo suono”. “Et-ci!”.