Tamburo
“Più batto, maestro, più mi sento abbattuto...sento il
vuoto dentro di me, solo quello”. “Bene, bene”. “Come
bene?! Così non posso suonare!”. “Già, proprio per questo
è bene che ti accorga del tuo vuoto; è l’occasione per recuperare
la pienezza di quello che puoi essere. Se non ci
fosse questo vuoto che ti rimbomba dentro e ti dà fastidio,
come potresti accorgerti che devi cambiare in meglio?”.
“Ma... avrebbe potuto dirmelo lei, maestro!”. “Ma più che
le mie parole, sono efficaci le tue: queste ti convinceranno
maggiormente”. “E quali parole? Come possono venire
parole convincenti da questo tamburo vuoto?”. “Sai...
nella pienezza non c’è molta possibilità di aggiungere altri
suoni; ma là dove c’è il vuoto, ci puoi mettere di tutto:
anche il tuo suono, quindi. Smettila di cacciare via questo
senso di vuoto. Accettalo, invece: è ciò che ti aiuta a recuperare
il tutto”. “Non riesco più nemmeno a scandire il
tempo con il mio battere...”.
“Certamente, perché il tuo vuoto da te può essere considerato
solo vuoto, e non sei capace di gestire te stesso;
come potresti gestire gli altri? Il tempo della musica ti è
sfuggito via, e ti è rimasto solo il tempo di sempre, il solito”.
“Sì, è vero: è proprio questa la mia sensazione: non
c’è più il tempo significativo di prima, ora è un tempo che
passa e semplicemente questo, nulla di più”. “E questo
perché tu ti consideri nulla e nulla più”.
“...E non è forse così?”. “No, affatto. Lasciati riempire
questo vuoto, e vedrai”. “Ma... ci ho provato! Ho provato
a sentire attorno a me gli altri strumenti, ma non mi ci
ritrovo più: mi sembrano estranei”. “E non è forse perché
tu sei l’estraneo a te stesso? Non è forse perché non hai
ancora provato ad ascoltare te stesso in profondità, ad
ascoltarti fino in fondo in questo tuo vuoto?”. “Ma... ho
paura!”. “E di che?”. “Di trovare il vuoto!”. “Ma se c’è
già! Più di così non peggiorerai di certo... sarà sempre
meglio!”. “E chi me lo garantisce?”. “Io, il maestro”.
“Cambi tamburo, per favore... io mi ritiro”. “Non voglio
affatto che tu adesso faccia il codardo, ma il tamburo!”.
“Non me la sento, maestro!”. “Non te la senti? Ma hai provato
almeno a chiederti il perché del tuo atteggiamento?”.
“No... ho paura di farlo”.
“E qui torniamo da capo: ti fidi di me?”. “Boh... il fatto
è che io ero venuto qui per eseguire semplicemente; invece,
da quello che ho prima sentito dire in giro dagli altri
strumenti e da ciò che le sue parole ora mi confermano,
qui lei vuole da ognuno di noi non la semplice esecuzione,
ma molto di più: la musica... e più ancora”. “E questo
non ti dovrebbe rendere contento? Pensi proprio di essere
contento nel battere il tuo ‘tam-tam’?”. “Boh... penso solo
che non dovrei pensarci troppo; perché, se va avanti così,
io mi ritiro di certo”.
“E perché?”. “Perché, perché... Perché c’è questa paura
di fondo che mi dice: ma lascia perdere, accontentati di
una suonatina di banda, non entrare in quel concerto, dove
devi rischiare... e per che cosa? Ma ne vale poi la pena?”.
“Io ti dico di sì”. “Mah... non lo so... vorrei delle prove”.
“Le prove sono queste prove che stai facendo ora, non ti
pare?”. “No... delle prove tangibili, intendo”.
“E non sono prove tangibili queste, che ti hanno raggiunto
fino dentro di te, nel tuo vuoto interiore? Non ti
hanno forse toccato abbastanza profondamente?”. “Già...
sì... E così, a questo punto, sono a zero!”. “Bene, così puoi
numerare in positivo!”. “Mah... non ci capisco più niente.
Ero venuto qui solo per un ‘tam-tam’, e guarda che cosa
mi sta saltando fuori!”. “Sei uno strumento a percussione,
tamburo, e prima di percuotere gli altri stai percuotendo te
stesso. E questa è la migliore preparazione, la migliore
prova che ti prepara e ti predispone con tutto te stesso, per
essere parte del concerto e per suonare come efficace strumento
della musica”. “Ma guardi, maestro, che io sono
soltanto un tamburo, una pelle d’asino...”.
“...Che se fosse qui ti sferrerebbe un calcio potente per
risvegliarti da questo torpore”. “...Torpore?”. “Sì... tu, che
devi essere colui che sveglia gli altri, che scandisce più
degli altri strumenti il tempo e segna l’inizio e la fine delle
parti, proprio tu ora stai dormendo, mentre gli altri sono
svegli”. “È questione del vuoto...”.
“È questione di come consideri questo tuo vuoto”.
“Maestro... mi spieghi cosa sta succedendo... non ci capisco
più nulla”. “Finalmente!”. “Come finalmente?”.
“Finalmente ti sei deciso a chiedere aiuto. Che ne facevi di
questo tuo vuoto?”. “Che sta dicendo, maestro?”. “Che eri
pieno del tuo vuoto. Ora sei finalmente giunto al vuoto
positivo, a questo vuoto che ci permette di riempirti del
tuo essere te stesso, degli altri, del senso della musica,...
Recuperare tutto, insomma”. “E come?”. “Lasciati guidare
dalle melodie degli altri e dalla mia bacchetta... Poi,
batti, e sentirai te stesso in modo nuovo, più vero. Prova!”.
Il tamburo si mise in ascolto degli altri, e osservando il
maestro, al momento giusto battè: “Tam!... È proprio vero,
maestro! È tutta un’altra cosa, adesso... ma come ha
fatto?”. “Hai fatto tutto tu, tamburo; guidato da me, ti sei
fidato, hai rischiato e hai deciso...ed ecco il risultato! Ora
devi solo continuare su questa strada: fiducia, rischio,
decisione... altro risultato... e ogni cosa si recupererà nel
giusto senso”. “Ma... è un cammino che va avanti da sé?”.
“Sì. L’importante è non cadere nel pericolo di fare le cose
per sé, come tu prima stavi per fare... e per fortuna, ti sei
fermato”. “Grazie, maestro!”. “Grazie della tua fiducia,
piuttosto. E ora, procedi”. “Tam!Tam!... Ecco, ora è veramente
il mio rimbombo, mentre prima...”. “Prima era la
bomba che ti stava per annientare”.
“Già!... Ma lei, maestro, come fa ad essere così esperto
di queste cose?”. “Sono un po’ come un artificiere, nel
senso che aiuto gli strumenti a trasformare quelle bombe,
che ognuno possiede dentro di sé, da strumenti di morte a
strumenti di vita. Il problema per te non era quello di avere
una bomba in te stesso, ma il come utilizzarla. Ora lo fai
con il tuo magnifico rimbombo, che arricchisce te stesso e
gli altri, rendendo così il concerto una vera... bomba; altrimenti,
l’avresti fatto saltare in aria, rovinandolo con il tuo
vuoto rimbombo”. “Beh, ma ora, maestro, non sento ancora
esserci in me questa pienezza...come posso essere pronto
a suonare?”.
“E quando sarai pronto a farlo? Mai! Quando uno strumento
può dirsi nella pienezza del suo essere, nella perfezione?
Mai!”. “Ma... allora?”. “Allora significa anzitutto
che ogni strumento si può sempre perfezionare, e non c’è
un limite per questo; è sempre un cammino che lo rende
sempre più e sempre mai pieno della propria identità di
strumento. Ma l’importante è che tu ora sia disponibile a
lasciarti riempire di questa nuova pienezza, della quale vai
riscoprendo l’importanza e la necessità per l’esecuzione.
E ora, tu sei disponibile... non è così?”. “Sì! Sì!... Sono
molto entusiasta! Se prima ero sconcertato e in crisi per
poter suonare come tamburo, ora sono sì ancora in crisi,
ma in quella crisi positiva della quale lei, maestro, mi sta
parlando: un non ritenersi mai strumento perfetto ma sempre
in progresso, sempre in esercitazione per una esecuzione
sempre più e sempre mai perfetta”.
“Ok, tamburo, così va proprio bene!”. “Senta un po’,
maestro... le vorrei chiedere una cosa, personale, non so
se...”. “Chiedi pure, tamburo!”.
“Ma lei, questa capacità, questa bravura da maestro; sì,
insomma... come lei mi ha fatto capire, non può essere
dovuta solo al fatto di aver studiato o di essersi esercitato
più a lungo. Vorrei chiederle proprio questo: da dove le
viene questa sua capacità di essere ‘maestro’?”. “E come
poterti rispondere, tamburo? Sarebbe impossibile fartelo
capire a parole... Cercherò di avvicinarti un poco a questo
segreto con la musica del concerto; poi tu lì capirai e lì
sentirai come non soltanto io, ma ognuno di voi strumenti
può allo stesso modo essere un maestro”.
“Ognuno di noi?”. “Sì... Nel nostro dialogo, caro tamburo,
forse tu non te ne sei mai accorto, ma non ero soltanto
io il vero maestro... eri anche tu maestro. Eri anche
tu, che a me hai insegnato cose nuove, realtà vissute e
autentiche, delle quali io potessi arricchire la mia personalità
di maestro. E se ora mi stai dicendo che mi apprezzi
come tale, questa capacità mia la devo ora proprio anche
a te, che in questo momento sei il mio maestro”.
“Io, il tamburo... io, maestro di lei, maestro?”.
“Sì, proprio. E così ci avviciniamo, anche se ancora
molto da lontano, a quel segreto che tu vivrai durante il
concerto, che solo con l’esecuzione e con la musica può
essere scoperto e rivelarsi a te, e non attraverso le mie
parole; il maestro è colui che sa ascoltare, che soprattutto
sa ricevere... Mai anzitutto colui che dà: ma colui che riceve.
Ecco perché tu mi stai apprezzando: perché ti sto
ascoltando. E chi mi sta insegnando ora ad ascoltarti?
Tu stesso, tamburo: quindi, anche tu sei un maestro... e del
maestro”. “Ma, allora, chi è il vero maestro del concerto,
‘il Maestro’?”. “Questo è proprio il segreto del concerto.
La musica te lo farà incontrare; le mie parole, come ti
dicevo, qui, a poco ti servono; anche se ti dicessi chi è,
non lo riconosceresti affatto. Solo nella musica lo potrai
riconoscere”. “Dunque il concerto ce lo rivelerà?”.
“Sì. Non in pieno, però: solo in parte... sufficiente per
gustare la musica e desiderare di gustare e di sentire ancora
di più, interiormente e profondamente, anche dopo il
concerto”. “Fino a quando, maestro?”.
“Fino a quando gli strumenti non saranno più necessari,
e avremo soltanto la musica e quella realtà profonda e
infinita alla quale la musica conduce”.
“Qual è questa realtà, maestro?”. “Il Maestro”.