Flauto
“Sa, maestro...a volte ho l’impressione di non essere
neppure sentito”. “Se alludi al momento delle prove con
tutti gli altri strumenti, questa tua sensazione può essere
fondata; ma quando, ogni tanto,il concerto si ferma e solo
tu sei chiamato a eseguire la tua parte, pur non avendo
suono sostenuto come quello di altri strumenti, tu risalti
come un richiamo, come il trillo dell’usignolo che nel
silenzio richiama l’attenzione e ti avvolge con delicatezza
per trasportarti nell’aria. E poi, non è affatto vero che nel
concerto tu ti perdi: il tuo suono, eseguito in armonia con
gli altri strumenti, pur non risaltando nell’insieme, tuttavia
lascialo dire a me che sono il maestro, dona a tutto quanto
il concerto quella leggerezza e quella delicatezza che
senza di te non avrebbe.
Con il tuo suono, ora eseguito con tutti gli altri, o eseguito
da solo, tu rendi il concerto più grazioso, dai a esso
quel tocco di preziosità e gentilezza che è la tua caratteristica;
altrimenti, esso sembrerebbe una massa di pesanti
strumenti, assumerebbe una serietà e un’imponenza che,
pur con l’esecuzione perfetta, farebbe perdere a tutto l’insieme
il fascino e la bellezza. Il tuo suono scherzoso e sbarazzino
infonde nel concerto e in chi lo ascolta il senso
della gioia, del fascino, del sorriso. Tu, flauto, sei colui
che invita a sorridere, ad avere il senso della gioia. E questo
ti pare poco?”.
“Come le dicevo, maestro, mi pare di non essere neppure
sentito... ma il fatto più grave è che mi sono convinto
di essere poco, e anche se ora condivido queste sue
parole, tuttavia non oso schiarire il mio suono e riprendere
la tonalità iniziale”. “Ecco, vedi? Il problema non è il
concerto che ti copre e non ti da spazio, ma sei tu che non
hai più chiara la tua identità e non confidi nelle tue possibilità
e sulla tua parte, e stai lì invece a considerare soltanto
la tua pochezza. Non ti accorgi che è proprio il concerto
che ti da le possibilità per essere te stesso? Quando,
dopo un brano eseguito da tutti quanti gli strumenti, c’è
silenzio, lì ti viene data la più grande possibilità per essere
te stesso e per dare qualcosa anche agli altri; e dopo che
tu hai eseguito la tua parte, il concerto riprende, e ti riprende
con sé per ricaricarti nell’armonia con tutti gli altri; e
così, è proprio il concerto che ti aiuta. Ma molto sta anche
nella tua decisione, alla tua presa di coscienza di non essere
un piffero, uno zufolino, ma il flauto, proprio quel flauto
che incanta, che richiama, che invita a porsi in ascolto,
a non lasciarsi sfuggire le cose che vengono dette, proclamate,
suonate”.
“Mi sembra di essere tanto piccolo...”. “Infatti, nel contesto
del concerto tu sei il bambino, la mascotte, e con il
tuo suono, te lo dicevo prima, richiami il gioco, l’allegria,
la spensieratezza e il sorriso. Non sai quanto c’è bisogno
di te oggi? Tutti gli altri strumenti senza di te rischierebbero
di perdere l’anima: la gioia; e anche chi ascolta, si
troverebbe di fronte soltanto a una realtà noiosa e pesante,
se non ci fosse il tuo contributo. Senza di te il concerto
sarebbe come una festa senza i bambini, dove l’atmosfera
diventa noiosa, pesante, troppo seria”. “Ma forse, maestro,
lei non si rende conto di come la gente oggi non ascolti più
i bambini”. “Lo so, lo so bene invece. Oggi pare che tutto
debba essere solo adulto e i bambini non servono più per
le cose serie; e anche tu, troverai certo poca comprensione
nel tuo suonare, specialmente all’inizio. Ma tu non devi
suonare prima di tutto per il piacere degli altri, ma soprattutto
renderti conto tu di chi sei: che sei il flauto; così comprenderai
il tuo compito. Solo allora suonerai anche per gli
altri, per loro; ma non per far piacere a loro, ma per essere
con loro come flauto, per crescere con loro, per dare e
ricevere da essi”. “Ma è difficile farsi strada tra gli strumenti...”.
“Con il tuo fare scherzoso e sbarazzino, fantasioso
e gioioso, troverai i modi impensati per entrare nel
vivo del concerto, per essere parte di esso. Ma prima di
tutto devi essere flauto: profondamente te stesso”. “Ma lei,
maestro, così mi sta dicendo di fare il rompiscatole!”.
“Sì, proprio il rompiscatole, ma in senso positivo:
andare controcorrente, non aver paura di essere solo, e per
di più con un suono poco potente. Ma se sei flauto, se porti
un messaggio che parte da te stesso, ti ascolteranno, anche
se al momento non ti capiranno. Non devi aver paura di
essere uno che va controcorrente, che rimane solo di fronte
agli altri: la gente oggi ha bisogno di questi strumenti,
anche se al momento pare rifiutarli”. “Ma se ha bisogno
del mio suono, perché mi rifiuta?”.
“Perché sospetta, caro flauto: sospetta che tu possa
essere un infiltrato, uno strumento di morte, uno strumento
non preparato, non autentico.
Il fatto che tu al momento venga rifiutato, non ti deve
perciò scoraggiare: è il vaglio della giusta critica, è la
prova che permette di accertarsi che sei autentico. Se ti
provano e si vogliono accertare su te stesso, non è perché
ti rifiutano, ma è perché ancora non comprendono se tu sei
autentico, vero strumento. E se tu provi di essere tale,
dopo la prova, dopo averti saggiato, ti accoglieranno. Non
aver paura di essere solo: l’importante è che tu sia”.
“E io, a questo punto, come posso accertarmi di esserlo
veramente e di non essere invece nell’illusione, di credermi
tale?”. “Proprio ora, mentre parli con me, te ne stai
accertando. La presenza del maestro è la via per giungere
ad accertare te stesso; come vedi, tu rimani ancora da solo
in questa presa di coscienza; ma il fatto che tu sia disponibile
a lasciarti guidare dal maestro, questa è la prova che
tu sei un vero flauto, che non pretendi di suonare per il
semplice piacere di te stesso o degli altri, ma per l’amore
della musica. E se tu suoni per amore della musica, caro
mio, sei da solo; anche io come maestro non sempre ti
comprendo nel tuo essere flauto; ma so che tu sei, quindi
ti dico di continuare a suonare, di non smettere, anche se
a volte ti pare una battaglia persa, un inutile tentativo, e
anche se non vedi i frutti e se da parte degli altri c’è solo
incomprensione. L’importante è che tu sia te stesso, cioè
che tu lo faccia soprattutto per amore della musica; e il
fatto che tu lo stia facendo ora per questo, te lo garantisco
io, vale veramente la pena”.
“Non c’è il pericolo di fare un buco nell’acqua, maestro?”.
“A questo punto son certo proprio che no, caro
flauto, anzi penso che tu stia per fare un buco nel cielo, più
su di dove arrivano generalmente tutti gli altri strumenti;
le tue note sbarazzine evitano tutti i limiti, saltano al di là
dei confini, raggiungono quei luoghi dove gli altri, per
mancanza di fantasia, non vanno... al cielo, lassù! E da là
tu fai un richiamo, un invito a tutti gli altri strumenti a
seguirti per quelle vie fino ad ora impensate”.
“Mi pare di essere il flauto magico, ascoltando queste
sue parole, maestro”. “Eh, sì... di quella magia che è il
fatto di invitare a riscoprire le possibilità spente che si trovano
in ciascuno degli strumenti; creando così sorpresa, e
quella magia che non conduce fuori dalla realtà, ma aiuta
a suonare con più amore le stesse note. E così, mentre con
un concerto senza di te l’amore e la musica sono due realtà
diverse, in un concerto con te presente la tua esecuzione
dirà chiaramente: l’amore e la musica sono la stessa
realtà”. “Da quello che lei finora ha detto, maestro, sembra
che io sia l’unico strumento che abbia fantasia”.
“No, non sei l’unico... ma il più vicino alla fantasia, il
più leggero e quindi più vicino alla capacità di volare, di
sconfinare per di qua e per di là. Tutti gli strumenti, in fin
dei conti, sanno utilizzare la fantasia, perché sono fatti per
essa: solo che non se ne rendono ancora conto o se ne sono
dimenticati; e tu li devi appunto richiamare: tu, che sei il
più vicino a essa, anche se pure tu, come tutti loro, devi
ancora recuperarla abbondantemente”. “Ma chi mi dice
come fare per richiamarli a questa fantasia? Chi, se anche
lei, il maestro, non mi sa dire il come fare, ma solo che
devo essere?”.
“Proprio lei sarà a dirtelo; la fantasia: questa è la tua
vera guida. Io ti posso solo aiutare a non dimenticarla, a
non allontanarti da essa; ti richiamo sulla sua strada, ma
solo tu la capisci questa fantasia nelle sue profondità, solo
tu la puoi sentire e quindi suonare, perché solo tu sei il
flauto, non io né alcun altro strumento. Solo tu sei in grado
di accoglierla e di trasmetterla a noi... Quindi, solo lei, la
fantasia, è la tua vera guida, alla quale tu ti devi affidare
totalmente”.
“E così non soltanto solo, ma anche pazzo!”. “Di fronte
agli altri, forse; ma l’importante, ricordatelo, è che tu sia
te stesso in questo concerto, non uno strumento piffero o
che esegue bene solo per sua comodità o per far piacere
agli altri. Essere te stesso... E ti diranno pazzo, folle, ti
lasceranno da solo... Ma che tu sia te stesso: un vero,
autentico flauto... Ne abbiamo bisogno!”.
“Lei, maestro, che mi comprende certamente più degli
altri, non potrebbe dire qualche parola in mio favore agli
altri strumenti?”. “Non è in mio potere, flauto; non è neppure
mio compito: io devo aiutare gli strumenti, uno per
uno, a essere se stesso, perché ognuno esprima quello che
gli altri fanno sentire da fuori. E se poi uno strumento
deciderà di ascoltarti, la decisione sarà sua, in prima persona;
non condizionato da me. Se però, nel profondo di sé,
uno strumento è chiuso, preoccupato solo della sua esecuzione
perfetta e basta, a nulla valgono le mie parole, a
niente servono neppure le tue note di richiamo”.
“Come, maestro?... Ma allora, come farà quello strumento
ad ascoltare il richiamo della musica, della fantasia,
dell’amore? Se è chiuso in se stesso, non c’è più nessuna
possibilità per lui?”. “Forse sì, forse no. Intanto, al presente,
sei tu l’unica possibilità: dipende da te, dal tuo riuscire
a sfondare quella chiusura, a rompere i confini nei quali
quello strumento si trova. E lo dovrai fare con te stesso,
con la tua esecuzione, rendendoti affascinante, donando
attraverso le tue note la bellezza e quel fascino che potranno
abbattere i confini ed eliminare le chiusure di quello
strumento”.
“Il richiamo al fascino della musica dunque, maestro?”.
“Sì, la forza dell’amore che la musica porta in sé: devi riuscire
a trasmettere proprio questo. Così darai un’anima a
ogni strumento e a tutto il concerto, darai un fondamento
e un fine a essi, che mai prima di allora loro pensavano di
poter avere”. “Speriamo che questa magia possa avvenire
presto..”. “Subito, flauto! Basta che tu inizi a suonare!”.
“Sì, maestro!”. Il flauto iniziò dunque a suonare, prima
con qualche nota, leggera e appena accentuata, posta una
dopo l’altra pian piano, lentamente. Poi le note divennero
via via sempre più numerose e cominciarono a svolazzare
allegramente nell’aria, creando un’atmosfera invitante di
gioia e di serenità. Il flauto sbarazzino, con fantasia, continuò:
su e giù, adagio e veloce, con quella miriade di note
colorate che si diffondevano e profumavano tutto quanto
attorno, mescolate dalla vispa bacchetta del maestro, che,
dopo un po’, con un deciso tocco finale, pose la conferma
a quell’atmosfera di eterna magia.